Puntuali sono giunte in Cassazione le firme per il referendum abrogativo della Legge n. 270 del 2005, legge elettorale detta “Porcellum”, della serie Mattarellum, Tatarellum e via sartorizzandum. Maestro, infatti, in questo genere comico-lessicale è Giovanni Sartori, una volta serio e severo scienziato della politica, oggi allegro polemista. Lo stesso Ministro leghista Calderoli, suo primo firmatario, l’aveva definita una “porcata”, in verità dopo che la legge era stata emendata e stravolta. Questa legge si caratterizzò subito come impeditiva del voto di preferenza, negando ai cittadini di votare il candidato di fiducia. Riserve personali a parte – sono convinto di votare non quello che voglio ma quello che sono indotto a volere – anch’io, in un dibattito televisivo, espressi all’epoca parere negativo sull’abolizione del voto di preferenza, volendomi illudere di essere “libero” o soltanto partecipare al rito democratico della discussione.
Un milione e 210 mila firme sono davvero un successone se si pensa che sono state raccolte negli ultimi due mesi estivi. Ne sarebbero bastate cinquecentomila; ma Di Pietro, il massimo promotore, eccessivo come sempre, ha voluto stravincere: più del doppio, quasi il triplo.
L’iniziativa ha subito assunto un valore politico enorme perché si aggiunge alle altre contro il governo. A proposito, chi ha detto che i poteri forti non esistono? Dopo magistratura, confindustria, chiesa e gran parte della stampa, cui si è unito, buon ultimo, il Corriere della Sera, ora anche il colpo del referendum. Il successone, però, rischia di essere un rumoroso scorreggione.
In primo luogo, come hanno fatto notare alcuni costituzionalisti, non si può abrogare una legge e lasciare il Paese in una sorta di “vacatio” nel momento in cui di quella legge o di un’altra sostitutiva si ha bisogno per votare. Di Pietro, che ha la saggezza del contadino, scarpe grosse e cervello fino, ha replicato che comunque il referendum è politicamente importante. Siamo d’accordo. La raccolta delle firme ha avuto un certo effetto mediatico; un’eventuale risposta abrogativa sarebbe decisiva per studiare e approvare una nuova legge assai diversa da quella abrogata. Così si è espresso perfino il ministro leghista dell’interno Roberto Maroni.
In secondo luogo, il rumore che si è fatto in questi anni su quella legge è davvero eccessivo e strumentale. Ma davvero i guai della politica italiana dipendono dal fatto che i cittadini non possono esprimere il voto di preferenza? Delle due l’una: o siamo smemorati o siamo creduloni. Per me, siamo entrambe le cose. In Italia si è votato con la preferenza per cinquant’anni. Era forse meglio? L’epilogo fu tangentopoli. Gli elettori, quando votano, credono di farlo liberamente, ma alla fine votano le persone che altri hanno deciso di mandare in parlamento, attraverso un insieme di passaggi, di scelte, di candidature e di tecniche di propaganda che qui non è il caso di elencare. E’ sufficiente ricordare che si può imporre ad un soggetto di fare qualcosa puntandogli la pistola o indurlo a fare la stessa identica cosa con una serie di tecniche di persuasione. Sotto il profilo formale e dell’immaginario popolare, però, è importante far credere all’elettore di essere libero e di aver mandato in parlamento chi ha voluto. Poi quel deputato o senatore può perfino cambiare partito, strafottendosene di chi lo ha eletto; la Costituzione glielo consente. Il nomadismo parlamentare ha fottuto perfino il trasformismo.
In terzo luogo occorre ricordare che quella legge doveva garantire il maggioritario, la chiarezza delle posizioni, la stabilità del governo ed impedire alle organizzazioni mafiose, che infestano il Mezzogiorno e ormai in metastasi anche il resto d’Italia, di mandare in parlamento i loro uomini. Non era poco. Sarà stata una porcata, questa legge, ma mi pare che, se non di tutti, di alcuni risultati conseguiti si può essere soddisfatti. Il governo resiste, nonostante gli attacchi e le gravi congiunture nazionali e internazionali. Il maggioritario, purtroppo, è stato indebolito dalle ambizioni di Fini e dalle nostalgie di Casini, uomini della vecchia repubblica partitocratica. Poi ogni pia intenzione – si sa – può produrre gli effetti più diabolici; ma questo vale per tutte le leggi. Così tutte le segreterie dei partiti hanno portato in parlamento chi hanno voluto, con buona pace di tutti. Oggi il voto di preferenza è considerato la bacchetta magica della situazione. Facciamo finta che è così.
Dopo la “porcata”, da tutti voluta, quale miracolo avverrà? Si andrà a votare, salvo che non venga approvata una legge prima, che modifichi sostanzialmente quella in vigore. Stando all’aria politica, che ormai è palpabile, vincerà il centrosinistra, ossia lo schieramento più disarticolato che si possa immaginare. Dire che sia giusto così è scontato. Non altrettanto scontato appare il fallimento di Berlusconi e del suo governo. Se quello che aveva in mente di fare Berlusconi non è riuscito a farlo è perché glielo hanno impedito. Si può essere d’accordo – e personalmente lo sono – che a farselo impedire ci ha messo anche del suo; ma in Italia è così. Stare all’opposizione vuol dire scatenare una guerriglia continua al governo fino a farlo cadere, facendo pagare il conto anche al Paese nel suo insieme e all’immagine che esso ha nel mondo. Gli obiettivi che si era prefisso di raggiungere forse non sarebbero stati raggiunti nemmeno da un dittatore, e per le congiunture internazionali, che hanno avuto pesanti ricadute in Italia, e per la selvaggia opposizione di una caterva di poteri, uno più prevaricante dell’altro. Figurarsi se poteva riuscire un liberale. Mussolini disse che non è né facile né difficile governare gli italiani, è semplicemente inutile. Bella scoperta!